Volutamente ho usato il termine epidemia al posto di quello attualmente in voga di pandemia perché il fenomeno di cui parleremo è tipicamente italiano e non ha eguali a livello internazionale.
Mi riferisco alla crescita esponenziale di esperti virologi, cui assistiamo da un anno, che continuamente fanno affermazioni che oscillano da prese di posizione o estremamente ottimistiche (vedi quelle di inizio estate 2020) o estremamente pessimistiche quali quelle più recenti su cui torneremo tra poco.
Mio padre era matematico e quando mi sono laureato in medicina insieme a mio fratello ingegnere mi prendevano a volte in giro definendomi lo “stregone” di casa, criticando provocatoriamente l’approccio del medico spesso poco analitico, più qualitativo che quantitativo e raramente fondato su numeri e dati certi.
Recentemente ho sempre più frequentemente ripensato a questo sfottò, sentendo frasi di chi afferma che per almeno altri due anni dovremo indossare le mascherine o che la riapertura delle scuole riaccenderà la curva dei contagi o ancora che l’unica soluzione è il lockdown totale. Tutte affermazioni gratuite senza supporto di dati e di numeri e senza una giustificazione rappresentata dal completamento delle affermazioni con il perché che le motivi. A queste affermazioni non basate su dati certi e documentabili viene dato ampio spazio sia sulla carta stampata sia sui media radiotelevisivi che non fanno altro che alimentare in tal modo emotività irrazionali più che fornire strumenti di giudizio adeguati e di crescita culturale alla popolazione.
È vero che la pandemia è legata ad un virus e che gli epidemiologi studiano le sue modalità di trasmissione e diffusione ma nel concreto ci troviamo ad affrontare una malattia infettiva che sì colpisce i polmoni ma anche tutto l’organismo portando nei casi più gravi alla necessità di terapia intensiva. Nonostante questo vedete voi interpellati frequentemente anche altre categorie di medici specialisti come, ad esempio, infettivologi e/o anestesisti rianimatori che lavorano sul campo nel curare questi pazienti?
Sicuramente centrale è il tema dei vaccini, della loro efficacia, della loro sicurezza, della loro distribuzione e delle priorità di somministrazione ma perché non si parla anche delle cure che possono essere attuate domiciliarmente nelle prime fasi di malattia e di altre strategie terapeutiche come quella degli anticorpi monoclonali che sembrano altrettanto promettenti ed efficaci?
Sempre in tema di vaccini ampio spazio è stato dato a dicembre alle affermazioni degli amministratori delegati delle aziende produttrici, meno a chi potesse commentare, dati scientifici alla mano, i loro punti di forza e di debolezza. È possibile che abbiamo dovuto aspettare lo scontro AstraZeneca-Unione Europea per fare un po’ di chiarezza sul relativo vaccino e solo adesso comunicare che non è adatto alle persone di età superiore ai 65 anni? I dati già a disposizione più di un mese fa indicavano chiaramente questa limitazione: infatti solo una percentuale bassissima di pazienti che hanno partecipato al trial aveva una età superiore ai 55 anni.
Come vedete le informazioni spesso ci sono, i dati e i numeri sono a disposizione per poter fornire corrette indicazioni e instaurare le appropriate strategie di contenimento e trattamento della pandemia. Laddove esiste incertezza, però, abbiamo l’umiltà di riconoscerla evitando affermazioni sensazionalistiche, capaci solo di destabilizzare la popolazione, ricordandoci tutti che siamo medici e non stregoni.