Il Consiglio di Stato ha autorizzato con una sentenza pubblicata venerdì scorso l’utilizzo dell’idrossiclorochina per la cura del COVID-19 ponendo, finalmente, il medico al centro della decisione circa il suo utilizzo.
Ma andiamo con ordine. Dopo una serie di studi sull’utilizzo dell’idrossiclorochina, l’uso del farmaco era stato bloccato dall’Aifa lo scorso luglio perché ritenuto inefficace e non sicuro principalmente sulla base di uno studio pubblicato sulla rivista “Lancet” il 22 Maggio scorso.
Lo studio che dimostrava risultati negativi con l’uso di questo farmaco è stato successivamente ritirato perché le fonti dei dati si sono dimostrati imprecise. Nonostante ciò l’Aifa ha mantenuto l’indicazione al non uso. Un gruppo di medici ha presentato ricorso nei confronti della decisione dell’agenzia regolatoria sulla base di una irragionevole sospensione dell’utilizzo dell’idrossiclorochina sul territorio nazionale. Su questa vicenda lo Stetoscopio Parlante desidera fare alcune considerazioni.
Prima di tutto vorrei sgombrare il campo da qualsiasi coinvolgimento nella strumentalizzazione sull’utilizzo dell’idrossiclorochina da parte di esponenti politici quali Salvini e Trump. Le mie considerazioni sono esclusivamente dettate dell’essere medico e dalle mie capacità critiche e dalla mia esperienza clinica. La clorochina e l’idrossiclorochina sono farmaci poco costosi e ampiamente disponibili che hanno un loro razionale scientifico di utilizzo come antivirali possedendo numerose possibilità di contrastare l’ingresso del virus all’interno della cellula e la sua replicazione. È vero che tali dati sono stati ricavati dall’azione “in vitro” e non “in vivo” ma è anche vero che tutti gli studi che dimostrano sull’uomo l’inefficacia dell’idrossiclorochina nei confronti del COVID-19 sono stati attuati prevalentemente in pazienti ospedalizzati già in fase avanzata di malattia. Grazie alla sua azione inibitoria sulla fase di ingresso del virus, alla sua ampia disponibilità, alla somministrazione per via orale e alla sua sicurezza, basata sull’uso storico nel trattamento della malaria e delle malattie reumatologiche, l’idrossiclorochina potrebbe essere utilizzato nelle fasi iniziali, anche al momento delle cure domiciliari dei pazienti che presentano sintomi lievi, al fine di prevenire l’evoluzione della malattia. L’uso ritardato del farmaco nei pazienti ospedalizzati e con malattia grave potrebbe risultare inefficace a causa del fatto che la malattia è già in uno stadio successivo rispetto alla finestra terapeutica propria del farmaco.
Il ricorso dei medici al Consiglio di Stato si basa su dati sparsi in letteratura e su esperienze personali che dimostrerebbero un’efficacia del farmaco se somministrato nelle primissime fasi di malattia, proprio per inibire la replicazione virale e contenere lo sviluppo di fasi più avanzate e più gravi. Secondo il suo meccanismo d’azione, somministrare questo farmaco a pazienti ospedalizzati con malattia grave potrebbe significare agire troppo tardi e rendere quindi inefficace il suo utilizzo. Ricordiamo che in Medicina bisogna fare la cosa al giusto al momento giusto.
È chiaro che per i possibili effetti indesiderati aritmici il farmaco andrebbe somministrato sotto controllo elettrocardiografico al fine di rilevare iniziali effetti tossici.
Quindi riepilogando: i dati della letteratura sono a tutt’ora inconcludenti, l’articolo della rivista “Lancet” che ha determinato la delibera dell’Aifa di sospensione del suo utilizzo sul territorio nazionale è stato ritirato, un gruppo di medici di base ha avanzato ricorso contro questa decisione accolto dal Consiglio di Stato.
Concludendo, da medico non posso che rilevare come ci sia voluto una sentenza del Consiglio di Stato per riaffermare il potere decisionale del medico che, scevro da ragioni politico-economiche, può e deve prescrivere terapie in scienza e coscienza, includendo in questa definizione come scienza quella che deriva non solo dalle evidenze dei trial ma anche dagli altri elementi conoscitivi e come coscienza quella di non seguire pedissequamente e esclusivamente le linee guida ma rielaborare il proprio operato sulla base anche della propria cultura ed esperienza clinica.