Negli ultimi mesi il Coronavirus è prepotentemente entrato nelle nostre vite sconvolgendo la nostra normale routine. Lo stravolgimento che questa infezione ha generato è conseguenza della grande capacità di trasmissione del virus che ha determinato un numero molto elevato di pazienti affetti. La potenza di questo virus, infatti, risiede più nella sua capacità di propagarsi tra la popolazione che nella mortalità e morbilità nel singolo paziente.
La diffusione del virus con un enorme numero di pazienti infetti che avevano bisogno di cure in ospedale ha fatto sì che questi ultimi fossero letteralmente invasi dai pazienti. Ci si è quindi trovati costretti a ridurre la qualità di cura sul singolo paziente per poterli curare tutti. In particolare, si è persa la possibilità di un approccio multidisciplinare ai pazienti, ed è così che questo virus sta “stressando” il nostro Sistema Sanitario.
Riassumendo, responsabile della criticità sanitaria del momento documentata dall’alto numero di morti, è prevalentemente lo tsunami dell’impatto assistenziale sul nostro sistema sanitario legato alla quantità di pazienti che contemporaneamente necessitano di cure anche in condizioni critiche con sovraccarico e sovraffollamento delle terapie intensive.
Tutti, popolazione generale e operatori sanitari siamo impressionati dal numero di vittime di questa epidemia e spesso si fa riferimento per analogia alla strage prodotta dalla Influenza Spagnola nel primo dopoguerra del secolo scorso. Per fortuna, e questo deve essere un messaggio forte, non siamo ai tempi della Spagnola e dobbiamo essere consapevoli della qualità della Medicina moderna che ha fatto enormi passi avanti nella comprensione e nella cura delle malattie e che le armi in nostro possesso oggi sono sicuramente in numero maggiore e con una efficacia superiore rispetto a quelle che avevano i nostri avi.
La consapevolezza di poter disporre delle attuali risorse della Medicina, anche in termini tecnologici e di poter avere l’occasione di rafforzare il nostro Sistema Sanitario Nazionale è fondamentale in un momento in cui si sta affrontando il tema della cosiddetta “fase 2” ovvero quella fase in cui riprenderemo gradualmente ad avere una vita normale. Nell’affrontare questo tema rivestono un ruolo importante le valutazioni epidemiologiche e le possibili strategie da attuare per annullare o ridurre il numero di nuove infezioni.
Del tutto recentemente il Prof. Ranieri Guerra, vicedirettore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e membro del comitato tecnico-scientifico ha elencato i sei passi per avviare la fase 2. Il primo passo è controllare che il numero di nuovi casi continui a decrescere per almeno due settimane; il secondo che le capacità di fare i test, sia quelli basali sui tamponi sia quelli sierologici per la ricerca anticorpale, siano sufficienti; il terzo l’utilizzazione dei test sierologici per avere informazioni statistiche globali; il quarto legato all’utilizzo di app come strumento fondamentale per seguire le persone che potrebbero contagiare o essere contagiate; il quinto e il sesto relativi agli ospedali con un organizzazione che differenzi le strutture Covid e non-Covid e che riduca l’impatto assistenziale sia nei reparti di degenza ordinaria sia nelle unità di terapia intensiva.
Sono perfettamente d’accordo con questa impostazione ma vorrei soffermarmi con alcune considerazioni sugli ultimi due punti. Sono convinto che, per detendere l’impatto assistenziale ospedaliero sia fondamentale rafforzare l’assistenza sul territorio garantendo la monitorizzazione dei pazienti meno gravi anche domiciliarmente. Sono pazienti che possono essere trattati fin dalle fasi iniziali con farmaci, e che hanno bisogno di un attenta monitorizzazione sull’evoluzione clinica generale e cardio-polmonare in particolare. A questo proposito l’utilizzo su larga scala della telemedicina, non soltanto delle app, può essere risolutivo.
Per quanto riguarda la differenza negli ospedali tra strutture Covid e strutture non-Covid vorrei ricordare l’importanza di disporre e di potenziare strutture pubbliche, come il Policlinico Umberto I e l’Ospedale San Camillo per quanto riguarda la città di Roma, caratterizzati dall’organizzazione a Padiglioni, secondo una visione lungimirante che prevedeva edifici dedicati ai malati infettivi, ben distinti dalle strutture dedicate alla cura di altre patologie.
Ritengo che un punto fondamentale e estremamente qualificante di questa fase 2 sia proprio il rafforzamento del Sistema Sanitario Nazionale sia sul versante del territorio sia sul versante degli ospedali pubblici, troppo spesso negli ultimi anni mortificati da tagli di risorse umane e strutturali (numero di posti letti ordinari e di terapia intensiva) a favore di strutture private accreditate. Lombardia docet e non aggiungo altro per non entrare in una polemica attualmente intempestiva.
Infine vorrei sottolineare alcuni dati positivi nel tentativo di controbilanciare i “bollettini di guerra” giornalieri: come vedete il numero di guariti sta aumentando, il numero di malati in terapia intensiva sta diminuendo e questo non perché il virus ha cambiato in meglio le sue caratteristiche ma perché riusciamo, anche in assenza momentanea di vaccini, a curar meglio i nostri pazienti con interventi mirati e differenziati a seconda delle fasi della malattia e della sua gravità.
Sono convinto, e finisco, che se riusciamo a contenere l’impatto quantitativo di questo virus con un organizzazione sanitaria capillare territorio-ospedale, avremo l’opportunità di curare i pazienti in modo adeguato, con un approccio multidisciplinare al paziente e di usare le armi che abbiamo sviluppato in questa prima fase in maniera sempre più appropriata e mirata.
La consapevolezza di poter arginare non solo con la prevenzione, ma anche con la qualità assistenziale questa pandemia permetterà senz’altro di affrontare con maggiore serenità le fasi di ripresa del nostro Paese.