Infettivologo, Rianimatore, Pneumologo… ma il cardiologo, o meglio lo specialista in malattie cardiovascolari, che ruolo riveste nella pandemia di COVID-19?
In questi giorni le indagini scientifiche sulla fisiopatologia della COVID-19 sono oggetto di studio per ricercatori in tutte le branche specialistiche. Emerge lentamente un quadro di coinvolgimento multi-sistemico da parte del virus, in cui la polmonite rappresenta solo la punta di un iceberg. Il coronavirus ha mostrato la capacità di coinvolgere organi ed apparati diversi da quello respiratorio, per via diretta (con replicazione nel tessuto colpito) oppure per via indiretta, attraverso lo squilibrio indotto nel sistema immunitario con produzione inappropriata di mediatori infiammatori. Un ulteriore aspetto cruciale legato alla pandemia è emerso dall’analisi nell’andamento dei ricoveri per condizioni non relate alla COVID-19. Esistono ormai dati pubblicati in molte zone del mondo sulla drastica riduzione degli accessi in pronto soccorso per tutte le patologie, anche urgenti, che non determinano sintomi sovrapponibili a quelli della polmonite da COVID-19. Sebbene questo sia un dato prevedibile, entro certi limiti, in considerazione della differibilità degli accertamenti diagnostici per sintomatologie croniche o lievi, la preoccupazione nasce proprio dai numeri forniti dalle cardiologie, anche con la collaborazione del nostro istituto. E’ stato messo in evidenza uno scenario in cui molte persone vittima di infarto cardiaco e/o di aritmie potenzialmente mortali, preferiscono non recarsi in pronto soccorso oppure si presentano tardivamente.
Dunque, che ruolo ha il Cardiologo nello scenario della pandemia?
E’ possibile riassumere questa riflessione in tre P: Pre-esistenti patologie cardiovascolari – Patologia cardiovascolare da Coronavirus – Paura di “infettarsi”.
Sappiamo bene che il Coronavirus colpisce più spesso e più duramente i pazienti con co-patologie, fra tutte l’ipertensione, le cardiopatie e il diabete hanno mostrato di avere un tasso di letalità molto alto, che sarebbe superiore anche alle patologie oncologiche, secondo alcune casistiche.
Cresce ogni giorno il numero di pazienti con COVID-19 in cui il virus determina coinvolgimento cardiovascolare in varie forme. Una di queste è l’infiammazione del muscolo cardiaco, probabilmente determinata per via indiretta e capace di ridurre improvvisamente e severamente la contrattilità del cuore. Analogamente, uno dei meccanismi patogenetici più importanti della COVID-19, sarebbe il danneggiamento dei piccoli e grandi vasi che esita in un tasso di trombo-embolismi venosi e arteriosi aumentato. Per questo motivo, l’eparina, di cui si discute negli ultimi giorni, sta diventando un farmaco di scelta per il protocollo terapeutico in tutto il mondo.
Infine, come già discusso, non è da sottovalutare la possibilità di una scelta (sbagliata) da parte dei pazienti con insorgenza di malattie cardiache durante la pandemia, di non accedere alle cure. La severa riduzione delle coronarografie e dei ricoveri per infarto cardiaco descritta ormai in tutti i paesi del mondo, è in parte spiegata dalla “Paura di infettarsi” qualora si dovesse accedere alle strutture ospedaliere. Abbiamo visto, in questi giorni, pazienti che trascinavano i propri sintomi, anche gravi come il dolore al petto, per diverso tempo prima di recarsi in pronto soccorso. Questa situazione può determinare la perdita di gran parte della capacità contrattile del cuore o anche la morte. Il meccanismo subdolo, “psico-mediato” e indipendente dalla reale presenza del virus, rappresenta dunque per molti aspetti la più inaccettabile delle tre P.
E allora quale sarebbe il ruolo del cardiologo:
1) Partecipare alla gestione multidisciplinare dei pazienti con cardiopatie pre-esistenti;
2) Imparare a riconoscere e contrastare l’insorgenza di un coinvolgimento cardiovascolare da parte del virus;
3) Assicurare la presenza di percorsi di cura “sicuri” e la corretta informazione per tutti i pazienti che, anche in assenza di COVID-19, si trovano costretti ad accedere agli ospedali in questo difficile periodo.